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Dati sull’emigrazione da Stanghella negli anni ’53-’67

Dati ricavati dall’Archivio comunale di Stanghella

I dati antecedenti al 1953 sono parziali per difficoltà oggettiva nella consultazione delle fonti; diventano più completi dal 1954.

Nel decennio 1950-1960 il flusso migratorio dal comune di Stanghella (in provincia di Padova) e dintorni si è orientato verso diversi Paesi europei ed extraeuropei, come appare da numerose testimonianze. Ci fu anche un’imponente emigrazione verso le risaie e le aree industriali del Piemonte e della Lombardia. Iniziata dopo la grande alluvione del Po (1951) si è protratta fino ai primi anni sessanta.


Testimonianze ricavate da un lavoro di classe presso la scuola elementare “G. Galilei” di Stanghella nell’anno 2002. Le seguenti testimonianze sono solo alcune che gli alunni delle classi quinte avevano portato nel progetto “Par ‘na feta de poenta”, con l’obiettivo di analizzare più a fondo il fenomeno dell’emigrazione nel comune di Stanghella tra gli anni ’50 e ’60.

Testimonianza della nonna emigrata in Francia

Nella mia famiglia, mia nonna materna Bruna, con i suoi genitori è emigrata in Francia a Tolosa, dopo la fine della seconda guerra mondiale nel 1945.

È emigrata con la sua famiglia perché in Italia le famiglie più povere lottavano per sopravvivere.

Sono andati come lavoratori permanenti con un contratto di lavoro.

Essi facevano i braccianti agricoli e accudivano gli animali nella stalla perché gli emigrati potevano fare solo quello, se invece si facevano la cittadinanza francese allora potevano lavorare in fabbrica, ma il suo papà non voleva farla perché in cuor suo sperava sempre di poter ritornare nella sua patria, l’Italia.

La giornata lavorativa iniziava molto presto alla mattina, a mezzo giorno c’era una piccola pausa per il pranzo e alla sera si terminava molto tardi, anche verso le 22.

Era un lavoro che poteva far vivere tutta la famiglia, ma non permetteva di avere qualche risparmio. Nessun familiare li raggiungeva e con i parenti ci si sentiva solo per lettera perché a quel tempo il telefono lo aveva solo il sindaco e il dottore.

In Italia non tornavano perché la famiglia si era ormai trasferita tutta lì.

Erano partiti in treno da Castelfranco Veneto con tutta la famiglia, col cuore pieno di malinconia per il paese dove erano natie dove c’erano le persone più care. Avevano trovato casa in una fattoria nei dintorni di Tolosa, vicino ai proprietari.

Si sono adattati bene al loro paese, perché le persone erano ospitali e aiutavano le persone più povere. Con la lingua c’era un po’ di difficoltà, però con l’aiuto di altre persone e dei figli che andavano a scuola piano piano sono riusciti tutti ad integrarsi. Sono rimasti in Francia per quindici anni e sono tornati definitivamente in Italia solo nel 1960.

Testimonianza della nonna al nipote Luca.

Testimonianza del nonno emigrato in Svizzera

Nel 1961 mio nonno aveva 27 anni, e per motivi di lavoro si trasferì per alcuni mesi in Svizzera. Era andato per fare il muratore.

Iniziava a lavorare alle 7.00 del mattino fino alle19.00 di sera. Per pranzare andava nella mensa aziendale, dove si mangiava molto bene, e dormiva negli appartamenti messia disposizione dalla ditta. I suoi giorni di riposo erano il sabato e la domenica.

Visto che con il cambio della moneta italiana con quella svizzera, quest’ultima valeva di più, lo stipendio era buono. Il nonno era andato in Svizzera per mantenere la famiglia, e ogni mese,tramite posta, mandava ad essa lo stipendio.

Mio nonno partì proprio quando mia madre aveva due anni e la nonna non poteva raggiungerlo, però il nonno ogni mese aveva una settimana di permesso per poter visitare la famiglia. Manteneva il rapporto con i parenti tramite telefono e lettera, ma soprattutto per lettera, perché per telefonare doveva prendere u appuntamento con l’azienda telefonica. Per andare in Svizzera il nonno usava il treno, facendo varie tappe assieme al cugino.

In Svizzera c’erano persone che parlavano l’italiano e il tedesco, le abitudini erano diverse da quelle italiane. Nel nuovo paese si era trovato bene , anche se gli mancava la famiglia e quando partiva per la Svizzera aveva un nodo alla gola. Egli sottolinea che in quegli anni era molto difficile.

Testimonianza di Giuseppe resa dalla nipote Irene.

Testimonianza del nonno emigrato in Venezuela (America Latina)

Il nonno Dino (papà del mio papà) nell’anno1952 è partito da solo per il Venezuela ed è andato precisamente a Caracas. Era molto emozionato per il viaggio che intraprendeva; partiva per una meta prestabilita poiché era stato chiamato da un gruppo di paesani, suoi amici, che già da qualche anno lavoravano in quella città.

Si è imbarcato a Genova,e il viaggio in nave durò quindici giorni.

Giunto a Caracas fu ospitato dai suoi amici per un primo periodo e successivamente andò a vivere da solo in un appartamento.

Il nonno aveva conosciuto in poco tempo alcuni uomini di diverse nazionalità e aveva formato un’impresa edile con lui a capo di questa.

In questa terra la gente era molto socievole; egli si trovava bene e cominciò ben presto ad imparare lo spagnolo.

Il cibo era ottimo e vario, soprattutto ricco di pesce.

Parte del suo guadagno veniva spedito alla famiglia poiché a casa aveva i genitori, la moglie e i tre figli.

I rapporti con i parenti erano tenuti solo per lettera (epistolari).

La permanenza del nonno a Caracas durò due anni perché la nonna lo fece rientrare dato che in famiglia c’era un urgente bisogno di lui.

Con molta tristezza e malinconia per le amicizie che lasciava e il benessere che aveva trovato, s’imbarcò per l’Italia.

Anno 1952-1953.

Testimonianza del nonno Dino al nipote Lorenzo.

Testimonianza del nonno emigrato in Francia

Mio nonno Giuseppino mi ha raccontato molte volte di quando, da giovane, è dovuto andare in Francia a lavorare.

Negli anni ’50 c’era molta povertà, la guerra non aveva lasciato che miseria e disoccupazione.

Molte persone erano costrette, per sopravvivere, a cercare lavoro fuori dall’Italia anche solo stagionalmente.

Viveva trovato lavoro in Francia nei campi di barbabietole dove cominciavano i lavori con la semina fino alla raccolta.

Il nonno mi racconta che la giornata lavorativa cominciava all’alba; si fermava verso mezzogiorno per mangiare un pezzo di pane con formaggio e poi continuava finché non calava il sole.

Dormiva in uno stanzone con altri giovani che erano andati la per lavorare come lui.

Non è mai riuscito ad integrarsi in Francia perché, per prima cosa, alla sera era distrutto dalla fatica e non riusciva a divertirsi e, cos più importante, i residenti di quel luogo li emarginavano. Venivano trattati come se fossero stati di una razza inferiore e tutti gli emigranti ne soffrivano moltissimo.

Il nonno non sapeva valutare se il lavoro era ben pagato. Il guadagno veniva interamente mandato alla sua famiglia.

Nessuno dei familiari lo ha mai raggiunto in quei luoghi e gli unici contatti che aveva con loro erano fatti di pochissime lettere.

Tornava a casa circa cinque mesi da quando era partito, in treno, con la sorella Lilia e suo cognato Antonio.

Quando racconta le storie di quei tempi, vedo molta tristezza nei suoi occhi e capisco che doveva soffrire moltissimo nel dover lasciare i suoi genitori e i suoi fratelli per molti mesi.

Testimonianza resa dal nonno Giuseppino alla nipote Sara.

Intervista dello zio Matteo

Nello, lo zio di mio papà, ha 78 anni ed è emigrato in Svizzera, a Thun, nel 1950. Era sposato da poco, aveva una bambina di 2 anni e per scarsità di lavoro è dovuto emigrare lasciando a casa la famiglia.

Naturalmente non è partito volentieri ma ha dovuto farlo perché aveva bisogno di soldi. È partito con il treno da Padova; a Milano è sceso e ha fatto una prima visita di idoneità. Arrivato a Domodossola, ai confini con la Svizzera, ha fatto una seconda visita di idoneità e ha dovuto esibire il passaporto ed il contratto di lavoro. È andato in Svizzera grazie ad un suo cugino che già vi lavorava da alcuni mesi e gli ha scritto che c’era bisogno di altri lavoratori. Era ospite di una signora che gli dava lavoro e insieme a lui c’era anche un tedesco. Questa signora aveva due figlie ma il marito non c’era, e lo zio ha detto che non ha mai saputo se fosse vedova o avesse divorziato. In questa famiglia lo zio si trovava molto bene e la signora gli ripeteva spesso di farsi raggiungere dalla sua famiglia. Inoltre è stato pagato bene; 11 franchi netti più vitto e alloggio.

Ha lavorato in Svizzera per tre mesi e il suo lavoro consisteva nel: tagliare il frumento a mano l’erba con la falce e lavorare in stalla. Anche a quel tempo c’erano il trattore, la seminatrice e l’aratro. Avevano circa 25 mucche tra cui 10 da latte e altre 15 per la carne; queste andavano a pascolare in malga.

Lavorava tutti i giorni, anche la domenica; in questo giorno andava a tagliare l’erba a Berna dove la padrona aveva i campi. La sua giornata era meno dura di quella che svolgeva a casa anche perché poteva alimentarsi di più.

Al mattino si alzava alle 6.30 circa, faceva colazione con pane e latte che lui stesso mungeva, e alle 7.00 era nei  campi a lavorare. Verso mezzogiorno pranzava e appena aveva finito ritornava al suo lavoro. Alle 16.00 una delle due figlie della padrona andava nei campi con un cestino dove c’erano pane, burro e marmellata per i lavoratori. Alla sera, verso la 20.00, cenava, e molto spesso mangiava carne di maiale affumicata. Il pane non mancava mai ed arrivava alla fattoria due volte alla settimana: al giovedì pane bianco, alla domenica pane nero. Dopo cena chiacchierava un po’con il suo amico tedesco, che sapeva un po’ di italiano, oppure scriveva una lettera alla moglie e poi andava a dormire. Lo zio, alla domenica, lavorava solo fino alle 17.00 e poi era libero di andare al bar o al cinema.

Lo zio, durante la permanenza, non ha imparato neanche una parola perché insieme a lui c’era uno svizzero che sapeva bene l’italiano e faceva da “traduttore”.

Testimonianza dello zio Nello resa al nipote Matteo.

Fonti: progetto della classe quinta elementare “Par ‘na feta de poenta” Stanghella, 2002